venerdì 23 maggio 2008

Il Berlusca dimezzato...


Il CdM svoltosi a Napoli nella giornata di mercoledi ha fatto emergere diverse problematiche; in linea di massima alcuni provvedimenti sono condivisibili e va dato atto alla maggioranza che quantomeno tenta di far uscire il paese e la regione da un immobilismo che fino a qualche tempo fa era stucchevole, snervate e disastroso. Se da un lato l'idea di utilizzare il pugno duro nei confronti dei dissidenti che ostacolassero l'apertura delle discariche, dall'altro mi lascia perplesso la previsione della clandestinità come reato.

Al di là dell'idea in se per se, che può essere più o meno considerata, valutata e giudicata, quello che mi rende perplesso è l'aspetto procedurale.

Il problema che deriva da chi arriva in Italia per delinquere è dovuto proprio al fatto criminale in se per se che pone in essere; dal furto, alla rapina, allo spaccio e così via. Ora, non credo che tali condotte siano riconducibili necessariamente ai soli clandestini; non si vede perchè uno straniero col passaporto e il permesso di soggiorno non possa poi finire a fare le stesse cose.

Il problema se così vogliamo definirlo, è nei tempi. Non si risolve il problema ritenendo reo il clandestino, ma giudicando rapidamente chi commette un reato. Per questo avrei preferito che zio Silvio, anzichè formalizzare il reato di clandestinità, si impegnasse piuttosto ad abbattere i tempi del processo...a riformare il sistema sanzionatorio, cautelare e carcerario. Non è stato fatto nulla di tutto questo. Per cui adesso...come sono necessari 8 anni per il passaggio in giudicato di una sentenza per rapina, o furto, ce ne vorranno 8 per verificare lo stato di clandestinità...

che cambia? Poco o niente...mah!

giovedì 15 maggio 2008

Giovani democratici afragolesi...

Venerdi, alle ore 18:30, in via Roma, nella sede del Partito Democratico, ad Afragola
si terrà la prima riunione dei giovani che, nella nostra città, hanno in qualche modo avuto contatto col Partito Democratico e ne siano comunque rimasti colpiti (speriamo positivamente).

Si tratterà di un incontro conoscitivo, finalizzato a realizzare un primo contatto fra tutti coloro che, candidati, non candidati, simpatizzanti e democratici a prescindere, intendono prendere parte al processo costitutivo dei giovani democratici.

A domani.

domenica 11 maggio 2008

Prospettive di periferia



Il dato elettorale emerso dalle urne del ballottaggio ha evidenziato un fatto estremamente significativo della vita politica afragolese: le periferie hanno bocciato il centro-sinistra. Perché? Quale è stata la ragione che ha spinto i numerosi abitanti di rioni periferici come le Salicelle, ad esprimere la propria preferenza per il candidato sindaco del centro-destra, anziché per Mimmo Moccia? Ebbene, non si può e non si deve semplicisticamente liquidare la questione, ricorrendo alla superficiale considerazione che dinamiche poco ortodosse si sono mosse tra i palazzoni dei quartieri più in difficoltà della città, nell’immediato periodo precedente al ballottaggio. Grave sarebbe infatti la carenza d’analisi, se non ci si rendesse conto del fatto che, a fronte di un profondo disagio umano, sociale, economico e perfino esistenziale di tali quartieri, la realtà politica del centro-sinitra si è vista poco, impegnata com’era negli ultimi tempi soprattutto a comporre conflitti interni e a risolvere problemi e questioni ben lontani dalle carenze quotidiane di zone dove risiedono centinaia di famiglie, ammassate in grigi palazzoni, costrette a vivere tra cumuli di rifiuti, strade mal ridotte, giardini abbandonati e case spesso in condizioni disarmanti, abitate però da persone che in molti casi ci hanno spalancato la porta del loro mondo trasmettendo un fortissimo senso di dignità, umiltà e una drammatica voglia di normalità. Ebbene, è a questi nuclei familiari che deve essere destinata una fortissima attenzione. E’ alle periferie che va necessariamente ridata priorità e deve essere riconosciuta una specialità nell’agenda programmatica del centro-sinistra e in special modo del Partito Democratico. Là dove si è perso e in malo modo, va avviata una fortissima azione di radicamento sul territorio; è necessario un attivismo che vada in due direzioni; da un lato facendo critica seria, costruttiva e oggettiva su quelli che in loco saranno i possibili errori del governo cittadino, rimarcando mancanze, carenze, inadempienze politiche e non dell’attuale classe dirigente di centro-destra. Dall’altro lato facendosi portavoce delle istanze della gente; costruire laddove c’è terra bruciata ( nel senso letterale della parole ) ed essendo presenti nel momento in cui esplodono i bisogni impellenti di donne e uomini, mostrandosi come realtà strutturata che ascolta, medita e propone. Una presenza che va costruita in senso si politico, ma anche e soprattutto fisico, materiale e tangibile!


Solo lavorando in questi termini, il Partito Democratico e chi con esso, potranno presentarsi alle prossime elezioni, come candidati forti e credibili anche nelle periferie. Non si può e non si deve commettere l’errore di dare per scontato l’orientamento politico di interi quartieri della città, abbandonando ogni velleità e possibilità progettuale; anzi, è doveroso lavorare affinché si creino anche nelle zone disagiate le possibilità affinché il voto possa essere quanto più spontaneo possibile, scevro da condizionamenti demagogici, eliminando alla radice il problema di fondo, che è legato alla mancanza delle condizioni pratiche e minime del “vivere democratico” di un paese che si ritiene tale. Accanto al rilancio “edilizio” e “urbanistico” dunque, un riscatto anche culturale e di mentalità, che spinga queste famiglie, questi afragolesi, a sentirsi parte integrante di una città che troppo spesso tende a dimenticarli.

sabato 3 maggio 2008

Il centralismo carismatico

di Francesco Cundari, pubblicato su www.leftwing.it

Nella nuova stagione, nel nuovo bipolarismo, ma soprattutto nel nuovo partito che Walter Veltroni ha guidato alle elezioni del 13 e 14 aprile, a quanto pare, non è previsto il dissenso. Non sono ammesse critiche da parte di eletti, elettori o dirigenti del Pd, che sarebbero un segno di resistenza al cambiamento, manovre di apparato, trame di palazzo. Insomma, un complotto. E non sono ammesse critiche neppure dalla stampa.“I giornali abbondano di rampogne e di suggerimenti nei suoi confronti – ha provato a dire sabato un giornalista dell’Unità – ad esempio il Riformista…”. La frase è rimasta in sospeso. “Liberiamoci dai condizionamenti dei giornali che vengono letti prevalentemente da quelli che fanno politica – lo ha interrotto Veltroni – il Riformista, peraltro di proprietà di un parlamentare eletto dal Pdl, vende 2000 copie e fa la spiega a noi che abbiamo preso 12 milioni di voti. Mi verrebbe da dire: per prima cosa pensa a vendere di più tu”.Il lettore dell’Unità non saprà mai di quali “rampogne” e di quali “suggerimenti” parlasse il giornalista, né cosa avesse da dire il Riformista al segretario del Pd. Chiarito che il quotidiano diretto da Antonio Polito non ha titolo per parlare, infatti, l’intervista passa serenamente oltre. L’evocazione del Riformista serve soltanto ad ammonire i lettori dell’Unità a non giocare con quei bambini, a non parlarci, ma soprattutto a non ascoltarli. Fa parecchio freddo, in questa nuova stagione. E’ bene rientrare in casa presto, senza fermarsi a parlare con gli sconosciuti.Se il nuovo corso non prevede critiche, figurarsi se prevede autocritiche. Il voto del 13 e 14 aprile ha lasciato il Pd al 33,1 per cento, consegnato a Silvio Berlusconi la più solida maggioranza di sempre, ridotto all’impotenza l’Udc, cancellato la Sinistra arcobaleno. Quello che esce dalle urne è il parlamento più a destra nella storia della Repubblica. Grazie al voto utile, il Pd ha raccolto buona parte del 7 per cento perduto in appena due anni dalla Sinistra arcobaleno, eppure ha guadagnato soltanto l’1,9 rispetto al 2006 (e avendo nelle sue liste i Radicali, questa volta). La verità è che il Partito democratico non solo non ha sfondato al centro, non ha compiuto alcuna rimonta, non ha strappato al Pdl nemmeno un decimale di punto (e non è mai stato, sia detto per inciso, a “due punti di distacco” dall’avversario). La verità è che è accaduto l’esatto contrario: è il Pdl che ha strappato consensi al Pd, sfondando al centro ed espellendone l’avversario (che ha compensato le perdite a spese della Sinistra arcobaleno). Eppure, nell’intervista all’Unità, l’unica conclusione che Veltroni trae dall’esito del voto è questa: “Non si torna indietro. Strategia, scelte programmatiche e linguaggio sono giusti”.Quanto la disfatta subita sia da addebitare all’esperienza del governo Prodi e quanto alle scelte di Veltroni, naturalmente, può e deve essere oggetto di una discussione approfondita (e magari, per l’occasione, si potrebbe discutere pure delle rispettive responsabilità nella caduta dell’esecutivo). Certo è che dopo i ballottaggi, quale che sia il risultato, una simile discussione non sarà più rinviabile. E dovrà essere approfondita, serena, pluralistica – certamente – ma anche libera. Libera, innanzi tutto, dall’asfissiante cappa di conformismo che sin qui ha caratterizzato la dialettica interna ed esterna al Pd, ben oltre la misura che le difficoltà del governo prima e la campagna elettorale poi avrebbero giustificato. Quello che proprio non si può fare è negare l’evidenza. Continuare a raccontarsi la favola della grande rimonta e del successo oltre ogni previsione. La campagna elettorale è finita. E non sarà arrotondandosi il risultato dello 0,9 – come fa Veltroni sostenendo che il “primo dato” da considerare è che “abbiamo un partito riformista del 34 per cento” – o sostenendo che il raffronto non va fatto con le politiche del 2006, bensì con le provinciali del 2007, che si costruiranno le fondamenta di un roseo avvenire. Terminati i ballottaggi, definitivamente chiusa questa interminabile campagna elettorale, non ci saranno più alibi. Scriviamo di proposito prima di conoscere il risultato del voto nella capitale, augurandoci che Francesco Rutelli vinca. Ma sentire da Veltroni che l’eventuale sconfitta in Campidoglio non è da addebitare a lui perché non è lui il candidato sindaco – dopo avergli sentito ripetere per tutta l’intervista che la sconfitta alle politiche è da addebitare al governo guidato da Romano Prodi, che non ci risulta fosse il candidato premier – lascia molto, ma molto perplessi. Ed è addirittura scandaloso che Veltroni metta tra le principali colpe dell’ex premier persino l’indulto, dopo avere partecipato alle manifestazioni per l’indulto e per l’amnistia. Un comportamento che ricorda quello di John Belushi in Animal House, quando va a consolare il ragazzo in lacrime dinanzi all’automobile che gli amici hanno ridotta un rottame, gli mette una mano sulla spalla, lo guarda negli occhi e gli dice: “Vedi, hai commesso un errore. Ti sei fidato di noi”. Proprio così: ti sei fidato di noi. Come l’inno del Pd.La verità è che la leadership veltroniana si è tradotta sin qui in una sorta di centralismo carismatico, o forse dovremmo dire di cesarismo burocratico, capace di sommare in sé i peggiori vizi dei vecchi partiti comunisti e dei nuovi partiti personali modello Forza Italia (o Italia dei Valori, che è lo stesso). Dunque non deve stupire che alla scelta di andare da soli, proprio come nel 2001, seguano ora la chiusura identitaria e la lotta contro il regime. “Ho chiesto a molti colleghi stranieri – dice Veltroni – cosa sarebbe successo se nel loro paese un candidato avesse eletto a eroe un mafioso. Mi hanno risposto dicendo che sarebbe una cosa incompatibile con qualsiasi carica pubblica. In Italia invece questo è possibile”. Finita la nuova stagione, si torna ai girotondi. E anche più indietro, fino agli avanzi scaduti del vecchio Pci post-berlingueriano. Per dirla con le parole di Veltroni, si torna alla lotta contro “la volgarizzazione della società, la spietata individualizzazione, il genocidio di ogni idea di regola e di spirito pubblico”. Ma la strada della chiusura identitaria e del culto della propria diversità, che non ha funzionato nemmeno con Enrico Berlinguer, suona semplicemente grottesca se ripercorsa oggi, assieme a Massimo Calearo.La verità è che non si può annunciare un partito democratico, aperto e radicato, se in quello stesso partito nessuno – nemmeno la realtà – ha diritto di mettere in discussione la parola, le scelte e i risultati del leader. E questa non è una critica a Veltroni.

giovedì 1 maggio 2008

Lo facciamo questo partito?Oppure no?

E' passata la bufera elettorale. Abbiamo perso, pesantemente e c'era da aspettarselo.
Nessuna particolare sorpresa, fatta eccezione per Roma e Casoria. Ad Afragola, bene o male, sapevamo sarebbe stata dura e così è accaduto.
E adesso?Che facciamo?Vogliamo voltare questa pagina triste o rimaniamo immobili?

Bisogna costruire il partito. Affiancargli un movimento giovanile forte e strutturato.
Non si può continuare sull'idea del partito gassoso, idea che spesso si trasforma nel partito assente. Nel non luogo. Nel nulla politico.
Abbiamo bisogno di un posto dove parlare, discutere, spiegare e comporre quei tanti microconflitti che dalle primarie in poi si sono acuiti all'interno del PD non solo afragolese.
Banalizzando, abbiamo bisogno di una sede. Di regole che disciplinino il gioco. Di soggetti legittimati ad organizzare iniziative, incontri, progetti.
Non commettiamo l'errore di dimenticarci degli oltre 6000 afragolesi che hanno scelto il PD. Io non voglio dimenticarmi i 77 che hanno scelto me. Non ci penso proprio. E mi impegnerò in questi giorni, nel mio piccolo, affinchè tra la linea dell'immobilismo e quella dell'attivismo costruttivo vinca quest'ultima.

Buon Primo Maggio a tutti.